di Niccolò Rinaldi
“Esiste un rimedio che, se fosse voluto dalla gran maggioranza delle popolazioni di numerosi Stati, renderebbe tutta l’Europa, o almeno la maggior parte del nostro continente, libera e felice […].
In cosa consiste tale rimedio? Consiste nel far rinascere la famiglia europea, in tutta la misura del possibile, aiutandola poi a crescere, in modo che possa svilupparsi nella pace, nella sicurezza e nella libertà. Dobbiamo creare una sorta di Stati Uniti d’Europa.”
Queste le parole di Winston Churchill, tratte dal suo discorso all’università di Zurigo del 19 Settembre 1946. Allora il problema era non ripetere gli stessi errori del primo dopoguerra e costruire un equilibrio che garantisse finalmente la pace in Europa. Il rimedio immaginato era la costruzione di una tal rete di relazioni e strutture tra i paesi europei, che diventasse impossibile per loro tornare a farsi la guerra.
Circa dieci anni dopo nacque la Comunità Economica Europea (Trattati di Roma del 1957), il primo passo verso quegli Stati Uniti d’Europa evocati da Churchill. Da quel momento ad oggi, la storia di quella che poi è diventata l’Unione Europea, ha conosciuto alti e bassi, influenzata dalle crisi internazionali ma – soprattutto – dalle logiche nazionali dei paesi membri (vedi, ad esempio, la famosa crisi della “chaise vide”).
Oggi siamo di fronte ad una crisi economica globale durissima e per la prima volta, dopo più di cinquant’anni, l’Unione sembra davvero correre il rischio, se non di dissolversi, almeno di perdere i pezzi. I malumori e le divisioni sono evidenti: dalle difficoltà di concordare il budget alle manifestazioni anti-tedesche in Grecia, ci si dimentica troppo spesso del principio di solidarietà, che sta alla base dell’Unione, e dei cittadini, che sono – o dovrebbero essere – i soggetti principali del progetto europeista. Invece, si parla di economia, di finanza, di austerità, di tassazione, di debito nazionale, di eurozona e si vuole ignorare la disaffezione crescente dei cittadini verso quest’Europa che sembra loro troppo complicata e, molto spesso, imposta.
Spinelli, nel manifesto di Ventotene, scriveva: “E quando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la federazione europea è l’unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione.” Sono d’accordo con Spinelli: non ci vuole meno Europa, bensì più Europa. La soluzione non è disfare l’Europa, bensì dotarla dei mezzi attraverso i quali possa affrontare le crisi con la solidità e la legittimità necessarie. Ciò significa andare verso la federazione europea di cui parlava Spinelli, e per questo sostengo l’iniziativa del Movimento Federalista Europeo che chiede al Parlamento Europeo di compiere un forte atto politico e proporre una revisione dei trattati, attraverso l’invocazione di una Convenzione (sorta di assemblea costituente, nel linguaggio tecnico) entro il 2013.
Per concludere, non bisogna avere paura di affrontare le nuove sfide, anzi occorre impegnarsi per dare all’Europa una struttura federalista, che le consenta di agire con maggior tempestività e decisione, garantendo al tempo stesso la legittimità democratica delle sue scelte. Un’Europa economica e sociale e, soprattutto, solidale.
Come diceva Spinelli: “Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via i vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato.”
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